We introduce ourselves To Planets and to Flowers
But with ourselves Have etiquettes Embarrassments And awes
Di pianeti e di fiori facciamo conoscenza,
ma quando si tratta di noi c’è l’etichetta l’imbarazzo
e il terrore.
[Emily DIckinson, 1872, trad. B. Lanati]
Di Emily, in tono familiare, mi parlò fugacemente Margherita Guidacci nel 1985. Appena conosciuta, un sorriso semplice e denso ci rese partecipi, pur nella diversità degli intenti poetici, di quell’idea di fondo, di quella passione, che nutre quanti son sog- getti alla pratica della poesia. La poetessa e traduttrice cattolica si preparava mentalmente alla grande edizione sansoniana delle Poesie e lettere di Emily Dickinson, che sarebbe stata sostanziata, in seconda edizione, nell’anno 1993. Poi null’altro, nessun contatto, fino alla morte avvenuta nel 1992, a 71 anni.Avevo ricevuto da lei, quasi in sordina, dopo qualche anno dal nostro primo ed unico incontro, un libro (in fotocopia) che le avevo chiesto, l’Inno alla gioia; ma non ricevetti, in seguito, altro, nella consueta circuitazio- ne interna propria dei catecumeni dei versi. Poi apparvero, postu- mi, gli Anelli del tempo nel 1993 e Le poesie nel 1999. Mi procurai, invece, la sua traduzione, con testo inglese a fronte, delle Poesie ‘di Emily’ pubblicate dalla BUR nel 2000. Qui, i ‘pianeti’ e i ‘fiori’ non sono presenti; li troviamo, invece nella edizione feltrinelliana del 1986 curata da Barbara Lanati con il pertinente titolo, Silenzi, e dove altro fiore, nel segmento temporale del 1872, fa il suo ingresso nell’universo poetico e spirituale di Emily: il lillà. È detto: “Il lillà è una pianta antica / ma più antico del lillà / è il lillà celeste / sulla collina – stanotte – / E il sole degradando / que- st’ultima pianta / alla contemplazione – non al tatto – / concede
– il fiore del tramonto. / Un’unica corolla l’Occidente – / il cali- ce la terra – / E i lucidi semi della capsula le stelle – / Lo scien- ziato della fede / ha appena iniziato il suo studio: / al di sopra della sintesi, / è la flora inattaccabile / dall’analisi del tempo – “Occhio non ha veduto” / è normale per un cieco, / ma mai le tesi ostacolino / la Rivelazione.” Stupisce quell’ellittica proiezione esi- stenziale che in questi versi ci riconduce, non tanto ad un’abusata idea classica di bellezza, quanto alla tensione esercitata sul mondo naturale attraverso il vasto enclave botanico, sulla conoscenza silente della vita: la fine, il ‘terrore’, termine che ritroviamo spes- so in Dickinson, e corolle, e pistilli, ed erbe consapevolmente intrecciati in varie parti della narrazione poetica e sospinti fino a quel sigillo indefettibile di feroce connessione alla vita e alla morte, al declino, sempre fuor dall’ornamento, dal lezioso. In un suo noto aforisma, dice: «i fiori sono così seducenti, che temo siano peccati – come il giuoco o l’apostasia.» Un sentire che mi riporta al bel dipinto del polacco Jacek Malczewskii (1854-1929), in cui una naturalistica pulsione erotica e mortale definisce, con narcisi, lillà e frange lunari, l’opera “Thanatos”. E, in altro testo di Emily (“Fiori – se qualcuno”), le creature floreali tendono, pro- prio in virtù della loro perfezione, ad ‘umiliare l’uomo’, a genera- re, così, ‘pena’ e ‘rapimento’, o a trasformarsi in corporeità da contemplare criticamente, da indagare con inquietudine, tanto che scrive: “I fiori scarlatti / sono vene di altri fiori / finché la natura gioca / coi nomi come ‘ramo’ e ‘giugulare.’
Oggi sono questi fiori dipinti, che scorgo nell’enumerazione di olî, acquarelli, tempere, acrilici, pastelli, conté, posti su tele, carte, cartoni, tessuti, plexiglas (dalle rose alle pomelie, dai tuli- pani ai gigli di montagna, dalle gerbere alle magnolie, dai fiori d’arancio ai gerani, dalle viole alle fresie), a ripercorrere i molti rapimenti, a sottostare, credo, alle umiliazioni di una bellezza – affioramento di un’armonia antica, – resistente contro il degrado da cui ci sentiamo avvolti (materiale, morale e, soprattutto, spiri- tuale). Allora i sonori paesaggi urbani di Sergio Ceccotti, domina- ti dalla rosa invasata nel terriccio e nella luce marina, tendono a mescolarsi ora ai molteplici e tenui sensitivi approcci dell’imma- gine floreale (Francesco Amico, Salvatore Caputo, Pascal Catherine, Filippina Lanza Sangiuliano, Sarah Miatt, Milvia Seidita), ora s’immergono tra vivide percezioni coloristiche (Rosanna Musotto Piazza, Antonella Affronti), o attraversano insi- stite gestuali tensioni materiche (Matilde Trapassi, Bice Triolo), o si offrono al pervadente malinconico luminismo di Bruno Caruso o di Pedro Cano. Poi è la classicità insistita di Rossana Feudo, di Anna Kennel o il simbolismo iperreale di Manlio Giannici, e anco- ra l’intimità trasognata da interiori pigmenti, così come si coglie nel lavoro di Enzo Nucci o in quello di Giuseppe Montalbano o di Gaetano Lo Manto, che consentono di approdare alla gioiosa sinergia cromatica di Franco Mulas o di Peter Bartlett, o d’essere ricondotti alle lacerazioni tonali di Massimo Campi, di Enzo Romeo, di Renato Tosini e di Tino Signorini. Da tutto questo, la “conoscenza” dickinsoniana è subito scorta, mi avvolge, come avvince le opere tutte degli amici; ma, proprio su di essi, s’apre in me il rivolo d’un “imbarazzo” reso, proprio dal bagliore fremente delle corolle, impalpabile e dolente.
Aldo Gerbino
CATALOGO: Elledizioni, collana “Lilium” 3, pp. 80, illustrazioni 25
PRESENTAZIONE: Aldo Gerbino
RECENSIONI:“La Repubblica” Palermo 24 maggio 2006; “Giornale di Sicilia” Guida Città 24 maggio, 2 giugno 2006;Marina Sajeva “Balarm.it” 25 maggio 2006; Mario Cappelli “Culturalweb.it” 5 giugno 2006; “Guidasicilia.it” giugno 2006; “Pittorica.it” maggio 2006.
OPERE DI: Antonella Affronti, Francesco Amico, Peter Bartlett, Massimo Campi, Pedro Cano, Salvatore Caputo, Bruno Caruso, Pascal Catherine, Sergio Ceccotti, Rossana Feudo, Manlio Giannici, Anna Kennel, Filippina Lanza Sangiuliano, Gaetano Lo Manto, Sarah Miatt, Giuseppe Montalbano, Franco Mulas, Rosanna Musotto Piazza, Vincenzo Nucci, Enzo Romeo, Milvia Seidita, Tino Signorini, Renato Tosini, Matilde Trapassi, Bice Triolo.